Effetto dirompente.
Se un produttore italiano di mobili regala i suoi prodotti o una società di Manhattan offre, senza farsi pagare, postazioni di lavoro a chiunque abbia un buon progetto, o se a Berlino ci sono negozi dove non si compra ma si prende in prestito, non stiamo parlando di casi clinici, ma di economia collaborativa. È il nuovo modello di mercato globale. Attraversa la produzione, le tecnologie e sta modificando la nostra stessa percezione della realtà. Tutto nasce da un nuovo valore, la condivisione. Se hai uno smartphone collegato alla rete e le applicazioni giuste, con un click trovi una vettura da guidare o per condividere un passaggio, trovi una casa o una postazione per lavorare dove ti pare e ti sposti per il mondo. È sempre più facile arrivare in una città e cenare a casa di qualcuno che nemmeno conosci senza andare al ristorante. Attraverso un’applicazione scegli la casa dove andare a cena, guardi i profili di chi organizza e degli ospiti che partecipano e gli oggetti che ti servono puoi condividerli, prenderli in prestito o noleggiarli. Perché possedere dei beni quando si possono usare dei servizi? Si liberano così delle risorse perché si risparmia, si creano altri mercati e nuovi modi per generare reddito. E funziona al punto che in uno Stato intero – l’Oregon – le amministrazioni delle città condividono, attraverso una piattaforma digitale, mezzi pesanti per la manutenzione delle strade. A Seattle c’è Wikispeed, un modello tipo Wikipedia per costruire automobili: progetti open e condivisi, collegamenti in rete ed è come se ci fosse un’unica fabbrica fatta di micro officine diffuse per il mondo. A Milano è nato il più grande progetto di co-housing d’Europa: case ad affitto calmierato per quelle fasce non abbastanza povere per una casa popolare ma nemmeno in grado di permettersi un affitto a prezzi di mercato. Dove sta la condivisione? Ognuno degli abitanti mette a disposizione le proprie competenze e le scambia: è la condizione per fare il contratto. Ma prima di tutto occorre che chi amministra le città non favorisca le speculazione sui propri terreni; e poi ci vuole un buon progetto. Solo così il piano può tenersi economicamente e attirare gli investimenti di un fondo immobiliare. E tutto questo non è effetto della crisi, ma di una nuova visione che sta un po’ cambiando il mondo.
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